Una
Europa riunita in una ipotesi di confederazione di Stati, tra gli altri
vantaggi, dovrebbe comportare anche un implemento delle possibilità
assistenzialistiche medico sanitarie per tutti i propri cittadini.
Come
dovrebbe essere organizzata una tale struttura complessa di dimensioni
continentali europee?
La
futura diversa sovranità confederale dovrà risultare capace di eliminare differenze
di cura e trattamento per tutti gli Europei della confederazione.
Vediamo,
invece, come l’attuale regime dell’Unione Europea inquadra il tema della salute
dei cittadini degli Stati membri attraverso la vigente Direttiva 2011/24/UE.
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Nell’ottica
di garantire una tutela del malato nello spazio europeo, la Direttiva
2011/24/Ue ha definito regole chiare per facilitare l’accesso a servizi
sanitari sicuri e di elevata qualità nell’Unione Europea, assicurando la
mobilità degli individui-pazienti che
richiedono tali servizi sanitari in uno Stato membro differente da quello di
provenienza. A fronte della frammentazione dei diversi modelli che ogni Stato
membro possiede nel campo della sanità, l’Unione Europea invita gli Stati
membri ad uniformare e facilitare l’accesso alle cure mediche e a favorire la
scelta dei luoghi di cura. Il diritto dei pazienti “di fare una scelta informata” riconosce ufficialmente sia il “diritto alla libera scelta” che il “diritto ad essere informati” presenti
nella Carta Europea dei Diritti del Malato redatta nel 2002 dall’Active
Citizenship Network (ACN), capitalizzando l’esperienza del Tribunale per i
diritti del malato. L’implementazione delle suddette garanzie consente a tutti
i pazienti un accesso ai servizi più adatti alle loro esigenze personali, sia
all’estero sia nei propri paesi. La logica che governa questa scelta fa
riferimento ai principi alla base dell’Unione, primo fra tutti quello del
mercato unico e della libertà di circolazione di merci, persone, beni e
servizi. Negli ultimi anni, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso
sentenze favorevoli alla libertà del cittadino di scegliere i luoghi di cura e
di ricevere poi la copertura economica prevista dal proprio sistema sanitario.
La citata Direttiva, in merito alle cure transfrontaliere e ai diritti dei
pazienti, si inserisce pienamente proprio nella strategia dell’Unione Europea
di rendere più forte il cittadino europeo, anche nei confronti delle regole
degli Stati membri, facilitando così una maggiore omogeneità sul piano delle
garanzie. La Direttiva non si applica solamente a una situazione in cui un
paziente proveniente da uno Stato membro, richiede il rimborso per cure
richieste ed erogate dal Servizio sanitario di un secondo Stato membro, ma trova
applicazione anche alle prescrizioni, alla distribuzione ed erogazione di
medicinali e dispositivi medici quando essi sono forniti in un contesto di
Servizio sanitario. Dal testo della Direttiva si desumono per i vari Stati
europei dei vincoli in merito alla garanzia del rilascio d’informazioni idonee a
garantire ai pazienti qualità e sicurezza dei servizi e la tutela della privacy; inoltre trova attuazione il
riconoscimento del principio di non discriminazione nell’accesso alle cure. Gli
Stati membri che erogano il trattamento non devono discriminare i pazienti in
base alla loro provenienza, sia per quanto riguarda le condizioni
dell’erogazione dell’assistenza, sia per quanto riguarda la definizione dei
prezzi per le prestazioni; condizioni e prezzi devono essere gli stessi
rispetto a quelli praticati per i pazienti del proprio territorio. La relativa
copertura finanziaria per il malato di diversa provenienza è competenza del
proprio servizio sanitario; il rimborso è previsto nei limiti dei benefici
dell’assicurazione sanitaria di cui il paziente è titolare, e non può eccedere
il costo della prestazione sanitaria ricevuta all’estero.
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Come
e’ attualmente applicata la Direttiva 2011/24/UE?
In
Italia, diventa sempre più difficile persino muoversi da una regione all’altra
per ottenere cure specialistiche nel settore pubblico, e la disparità di
livello in assistenza e tempi di attesa è talmente elevata che talvolta la
sensazione è di essere in un diverso paese.
Analizzare
in dettaglio tutti i sistemi sanitari presenti in Europa non è lo scopo di
queste poche riflessioni, ma cerchiamo di dare un’idea generale.
Ci
sono diversi tipi di accesso ai servizi sanitari nei diversi paesi europei: pubblico (che riceve fondi dallo Stato
tramite le imposte) e privato (dove
il cittadino può accedere al servizio pagando da sé o utilizzando assicurazioni
private). Questo è il caso, tra altri, di Italia, Spagna, Portogallo, Francia.
Altrimenti
esiste un regime pubblico per i residenti
che hanno un introito inferiore ai 50mila euro l’anno, e privato obbligatorio per chi supera questa quota, come avviene in
Germania. Ancora, si parla di pubblico
(finanziato attraverso la fiscalità generale per la parte dell’assistenza a
lungo termine, domiciliare e per disabili), mutualistico
(per la componente standard
dell’assistenza e garantito da assicurazione sanitaria obbligatoria, tramite
assicurazioni private in competizione tra loro); sistema presente in Olanda.
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Tornando
alla Direttiva dell’attuale Unione Europea, quanto costa l’assistenza sanitaria
pro capite?
Si
parla di circa 3.562 euro annui (spesa media pro capite in UE nel 2021).
Questo
costo mediamente va dai 1800 euro pro capite in Italia ai 5700 in Olanda. La media della spesa europea per ogni
cittadino risulta molto simile alla storia delle due persone dove la prima
mangia due polli, la seconda digiuna, ma in media hanno avuto un pollo a testa.
Il
livello di disparità che scaturisce dalla differenza di investimento economico è
notevole, e questo comprende, risorse, facilità di accesso ai servizi, alle
tecnologie e ai farmaci.
Il
modello olandese appare il più efficiente, con una rete di medici di famiglia
capillare, e con possibilità di accedere ai servizi specialistici tramite loro,
praticamente senza liste d’attesa mensili o annuali, come avviene in Italia, ma
anche in Inghilterra, dove lavoro.
Il
sistema olandese è attualmente considerato di eccellenza e questo grazie ad un
cospicuo investimento. Il benessere in Olanda, seppur densamente popolata, è
mediamente molto più alto di altri paesi, ed entrare nel merito dettagliato del
perché’ esula delle mie conoscenze. Proverò a proporre qualche possibile
ragione con le realtà che conosco per esperienza diretta.
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Ho
studiato in Italia e ho fatto l’Università come Allievo dell’Accademia di Sanità
Militare, successivamente ho servito nell’Esercito e nei Carabinieri; dopo 17
anni ho deciso di congedarmi e iniziare a lavorare nell’emergenza territoriale.
Ho lavorato come guardia medica (con contratto libero professionale a tempo
determinato) per poi passare al 118 dove sono stato assunto in due cliniche
private convenzionate con servizio di pronto soccorso e 118: contratti diretti
dopo colloquio, 3 mesi di prova per vedere come lavoravo e contratto permanente.
Successivamente ho deciso di spostarmi nuovamente in Toscana e ho iniziato a
lavorare con la ASL di Livorno prima e Grosseto poi, come medico di 118. La mia
formazione, per mia scelta, non è stata ortodossa.
All’epoca non esisteva la scuola di Medicina d’Urgenza e le Forze Armate hanno
provato a farmi studiare Medicina del Lavoro (che ho odiato dal primo giorno ed
ho abbandonato dopo 2 anni), ed ho deciso di seguire una formazione personale
secondo il modello possibile ed adottato in numerosi paesi, inclusa
l’Inghilterra. Questo prevede di formarsi privatamente con corsi ed esperienze
lavorative, accumulando il curriculum
richiesto per essere considerato uno specialista nel proprio settore (emergenza
ospedaliera e pre-ospedaliera nel mio caso, iniziando fin dal mio periodo in
servizio). Questo in Italia non è consentito ed ho lavorato per 7 anni in 118,
indipendentemente, con contratti trimestrali. Non c’è stato verso di avere un
contratto a tempo indeterminato perché’ non avevo una specializzazione standard, non avevo connessioni
universitarie o politiche, ed ero arrivato con 6 mesi di ritardo da una
italianissima sanatoria che aveva regolarizzato ogni medico con 2 mesi di
esperienza in 118 (e talvolta una vera e propria licenza di uccidere).
Comunque, la mia scelta è stata di non scegliere canali standard perché’ volevo qualcosa di più specifico, ed ho accettato
la situazione e ho continuato sperando in un cambiamento che non è mai
avvenuto.
Nel
frattempo, seguendo la passione di una vita, ho frequentato il master di Specializzazione di II livello
in Medicina Subacquea ed Iperbarica ed ho iniziato a fare ricerca, seguendo
subacquei tecnici e sommozzatori professionali conseguendo le annuali idoneità.
Ho iniziato ad essere ricercato da piccole ditte di lavori subacquei come
medico consulente per creare tabelle decompressive
e piani di emergenza. Tutto questo fino a che il nome non è diventato troppo
diffuso e ho iniziato a vedermi contrastato dai mammasantissima del settore che non ammettevano concorrenza o
lavoro indipendente dal loro stretto giro di influenza. Qualcuno è arrivato
persino a dire al proprietario di una ditta di attrezzature subacquee tecniche
(alla quale ero legato da una bella collaborazione e amicizia), che non lo
avrebbe più fatto vendere nel settore diving
commerciale se avesse continuato a lavorare con me. Questa è stata la
fatidica goccia: non ho rinnovato il trimestrale contratto e, grazie ad un
amico e collega di università che lavorava lì da 10 anni, sono partito per il
Regno Unito. Nell’attesa di superare l’esame di inglese per ottenere l’abilitazione
completa all’esercizio della professione, sono stato cercato da Dubai per un
progetto inerente alla Medicina Subacquea ed Iperbarica. Ho lavorato negli
Emirati Arabi Uniti per 2 anni al progetto e sono stato coinvolto nella stesura
della legge nazionale per l’utilizzo della Medicina Iperbarica (nemo propheta in patria). Nei due anni a
Dubai ho passato l’esame di inglese necessario per avere l’abilitazione nel
Regno Unito ed ho iniziato ad inviare il curriculum.
Ho avuto 5 colloqui per 5 diversi Emergency
Departments. Dopo i colloqui ho avuto 5 offerte di assunzione a tempo
indeterminato con stipendi decisamente migliori che in Italia e con
riconoscimento del mio portafoglio di formazione. Eccomi qua: al momento lavoro
come consultant in uno dei più grandi
ospedali in Inghilterra e sono il responsabile per la gestione delle maxi-emergenze.
Questo
dal punto di vista professionale (e ancora si chiedono perché’ i medici
italiani vanno a lavorare all’estero).
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Vediamo
cosa succede nel Regno Unito dal punto di vista dei pazienti: non è tutto oro
quel che luccica. Gli ospedali hanno lunghe liste di attesa e il servizio di prossimità
e di comunità (medici di famiglia, ospedali di riabilitazione, case di riposo
per anziani) è drammaticamente carente per qualità ed estensione dei servizi
offerti. Questo porta ad un incredibile sovraccarico sul National Health Sistem
(NHS) e particolarmente sui Dipartimenti di Emergenza. Senza esagerazione, il
75% dei pazienti che vengono in Pronto Soccorso potrebbe risolvere il proprio
problema col medico di famiglia, ma per avere un appuntamento col proprio
medico di famiglia, talvolta c’è un’attesa fino a 6 settimane (non ce ne sono
abbastanza, i neoformati non hanno il livello di preparazione della old school e gran parte del loro tempo è
impiegato per risolvere magagne burocratiche).
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Cosa
succede in Italia? Il sistema dei medici di famiglia era molto più capillare
(con un massimale a 1800 assistiti) e l’accesso era, ed in molti casi ancora è,
libero, o con una attesa massima di un paio di giorni. Molti colleghi e amici dell’università
hanno scelto questa specialistica e tutti mi continuano a dire che più il tempo
passa, più la burocrazia sta distruggendo il loro tempo, la loro passione e la possibilità
di erogare il servizio di qualità al quale ambivano. Anche in Italia, a quello
che mi riportano, il numero ed il livello dei giovani colleghi che si imbarcano
in questa attività è in netto calo, e sempre più giovani si arruolano nelle
fila dei cervelli in fuga.
Il
livello di accesso agli ospedali, con il calo delle prestazioni del medico di
famiglia, non è più molto diverso da quello inglese, con attese interminabili
nei Pronto Soccorso e attese ancora più lunghe per visite o accertamenti
specialistici. Il deterrente del ticket
per gli accessi impropri è stato presto bypassato
dal sempre maggior numero di esenzioni per qualunque motivo.
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Quali
sono state le soluzioni apportate fino ad ora? Crescente corruzione ad alti
livelli, taglio delle assunzioni, concorsi pubblici manipolati a dovere con
insufficienti livelli qualitativi e quantitativi, amministrazioni manageriali
tese non a migliorare l’offerta ma a ridurre i costi, anche a scapito della
salute. La nullità dei vari Governi sia in Italia che in Inghilterra nel
gestire questa costante emergenza
sanitaria è ormai nota a tutti.
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Cosa
dobbiamo aspettarci per l’attuazione della bellissima direttiva dell’Unione
Europea riportata all’inizio?
In
Inghilterra tutti sanno che i governi in carica (siano Tory o Labour) hanno il
segreto progetto di spingere per un modello di sanità completamente privato
come quello statunitense. Il che equivale, in una realtà non completamente
benestante, ad una condanna per i meno abbienti. Qualcosa di assolutamente
inconcepibile nel 2025, e pensare che il National Health Sistemz, l’inglese NHS,
è stata una delle prime istituzioni di sanità pubblica globale a livello europeo.
Abbiamo
visto nel modello olandese che più una società è ricca più può spendere
nell’assistenza pro capite e tutti i
cittadini ne beneficiano.
*
Avanzare
una soluzione possibile non è nelle mie corde, sono solo un povero medico
clinico, non un economista o giurista o amministrativo, ma da diretto
conoscitore interno di questi due sistemi, sento di potermi porre alcune
domande su come poter incrementare il denaro derivato dalle imposte e indirizzarlo
nella effettiva qualità e quantità dell’offerta (che parte da contratti e
salari degli operatori sanitari ed arriva alle tecnologie e alle strutture
utilizzate per assistere chi ne ha bisogno). Non metterò cifre perché’ non
conosco dettagli e non è il mio lavoro. Riflettendo da medico d’emergenza
costretto ad emigrare e da cittadino che si è scontrato con piccoli esempi di mafietta, pongo alcune questioni.
Quanti
soldi sono stati dedicati dal Regno Unito ed dall’Italia per alimentare una
guerra in Europa senza che nemmeno un tentativo di diplomazia sia stato portato
avanti? Senza questo logorante conflitto queste risorse sarebbero potute andare
altrove, incluso verso il servizio sanitario di molti paesi.
Corruzione:
quanto soldi sono stati sprecati in corruzione ad ogni livello delle strutture
sanitarie, negli appalti, nella compravendita di farmaci e tecnologie non
utilizzabili o persino non ad un livello accettabile di sicurezza o test? Quanti di questi scandali sono
stati scoperti? E cos’è successo quando sono stati scoperti? Nulla, nessuno ha
pagato. Un po’ come lo scandalo delle slot
machine con una evasione fiscale di 90 miliardi di euro, patteggiati alla
fine con una multa di qualche centinaio di migliaia di euro.
Concorsi
pubblici...: vogliamo davvero parlarne?
*
Concludendo,
torniamo al quesito del titolo di questa riflessione: “quale sistema sanitario
per una Europa Sovrana e Indipendente”? E come applicarlo?
La
risposta al primo quesito, a mio giudizio, si può rispecchiare nel modello olandese:
certamente dispendioso, ma di un livello assolutamente unico, come servizi
offerti, contratti, qualità della formazione e facilità di accesso per i cittadini,
sia nel settore pubblico che in quello privato.
Una
società moderna deve poter dare la possibilità di una scelta informata e
sicuramente di pari livello; come già detto è inammissibile che al giorno
d’oggi, chi è meno fortunato non possa avere le stesse possibilità di cura di
chi ha più soldi.
Anche
riguardo le specialità si deve affermare che non sono legate non solo alle
tecnologie, ma anche alla formazione del personale e alla possibilità di
crescere professionalmente senza doversi preoccupare di cosa succede quando il
permanente contratto a termine finisce. La possibilità di scelta informata
dovrebbe essere garantita a tutti in tutto il territorio di una confederazione
di stati benestanti, ma pretende che tutti gli Stati investano quote e risorse
appropriate in strutture, personale e tecnologie.
In
questa situazione quanto si ridurrebbe la necessità di spostamenti in altri
paesi per avere un medesimo trattamento trovandolo offerto nella propria area?
Come
ottenere questo risultato? Questo esula assolutamente dalle mie competenze, ma
rimando ai tre quesiti esposti poco sopra, con una conclusione banale: una società
basata su legalità, indipendenza economica, diritti e doveri, è una società che
può arricchire se stessa, i propri cittadini e i propri servizi.